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Sullo scrivere (e sull'ironia)

  • Immagine del redattore: Redazione
    Redazione
  • 3 ago 2019
  • Tempo di lettura: 1 min



C’era dell’ironia nel rivolgermi ai concorrenti e nel definire nude le statue greche (un bel doppiosenso perché “nudo” per noi fabbricanti di vernici significa non verniciato). Sapevo che avrei fatto colpo con quell’inizio. L’ironia si mangia le parole come dice Victor Šklovskij, ma mette in evidenza le idee, le alleggerisce e perciò le rende più accettabili, più commestibili. Quando proponi una buona idea e la spari improvvisamente come un colpo di fucile, rischi di fare molto rumore sul momento senza guadagnarti uno spazio nella memoria degli ascoltatori. Io ho studiato gli accorgimenti retorici di Quintiliano, ma preferisco il momento della scrittura a quello della lettura in pubblico. E non so certo accompagnarmi con i gesti dei bracci e delle mani e tanto meno con le sventolate della toga come suggerisce l’eminente semiologo latino. Scrivere mi piace, le idee arrivano una dietro l’altra, si mettono in fila secondo l’Ordine del Discorso e così mi si chiariscono nella mente. Mi piace scrivere perché finalmente con la scrittura vengo a sapere che cosa penso, anche se non sempre mi piacciono i miei pensieri.

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