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Dall'Accademia della Crusca

Basi di punteggiatura

#1

"soffermarsi ad analizzare fenomeni di punteggiatura significa intraprendere un cammino scivoloso e pieno di incontri inaspettati. Quello dei segni interpuntivi è infatti un territorio di confine: una delle poche certezze su cui possiamo contare è che la punteggiatura è propria della pagina scritta, ne costituisce la "segnaletica", è la mappa grafica che guida il lettore nella sintassi, nel significato e nella struttura del testo. [...] Oltre che da questa estensione nelle funzioni, le difficoltà nel dare indicazioni precise in merito all'uso della punteggiatura derivano anche da una generale scarsità di regole e da una grande variabilità negli usi, soprattutto nella scrittura creativa e letteraria in cui le scelte interpuntive sono fatte rientrare nei tratti che contraddistinguono lo stile personale del singolo scrittore."

Raffaella Setti

La virgola

La virgola

La virgola no si mette: tra soggetto e verbo (se altre parole si frappongono tra questi due elementi occorre prestare più attenzione); tra verbo essere e l'aggettivo o il nome che lo accompagna; tra un nome e il suo aggettivo

Le frasi relative cambiano valore (e senso) a seconda che siano separate o meno con una virgola reggente.

- Gli uomini che lo seguirono, cioè 'lo seguirono solo quelli che credevano in lui' è  una  relativa limitativa;

- Gli uomini, che credevano in lui, lo seguirono, ovvero 'lo segurono tutti gli uomini perché credevano in lui' è una relaitva esplicativa.

Uso di gli per a lui, a loro e a lei

#2

Gli per loro è attestato nei dizionari più recenti, come il GRADIT, "Grande Dizionario Italiano dell'Uso" di Tullio de Mauro (2000, UTET), che nella definizione di gli scrive: "2 gli [...] colloquiale, specialmente nella lingua parlata compare in  alternativa a loro, a loro, a essi, a esse: quando me lo chiederanno, gli risponderò" [cioè risponderò (a) loro]. Il DISC; "Dizionario Italiano Sabatini Coletti" (1997, Giunti) scrive: "[...] come pl. gli (come esito del dativo latino plurale illis) è assai freq. in quanto forma più chiaramente atona (e quindi proclitica o enclitica) rispetto a loro [...]".  Dunque, a parte la ragione etimologica a tale uso (loro invece deriva dal genitivo plurale illorum), esiste una giustificazione "pratica", dovuta al fatto che per le altre persone esiste la possibilità di scegliere tra pronome enclitico e proclitico: mi dice / dice a me; ti dice / dice a te; gli dice / dice a lui; ci dice / dice a noi; vi dice / dice a voi; per la terza persona plurale questa possibilità non esiste: dice (a) loro e non *(a) loro dice: il pronome "mancante" viene, nell'uso, sostituito da gli. Tale forma è stata usata anche dal Manzoni: "Là non era altro che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d'età e di sesso, che stava a vedere. All'intimazioni che gli venivan fatte, di sbandarsi e di dar luogo, rispondevano con un lungo e cupo mormorio; nessuno si muoveva". (Promessi Sposi, XIII).

Il caso di gli usato in luogo di le è citato nel DISC: "L'uso di gli come f. sing., tradizionalmente condannato dai grammatici, è di antica data ed è pienamente giustificato dal punto di vista etimologico (derivazione dal lat. sing. illi, anche f.)"; il DISC cita poi come esempi letterari di tale uso Sacchetti e Soffici. Luca Serianni scrive, a tale proposito, nella sua Grammatica Italiana (cap. VII par. 38): "Se gli per loro non può certo dirsi errore, decisamente da evitare anche nel parlato colloquiale è gli per le («Quando vedo tua madre gli dico che hai fatto i capricci») che pure ha «precedenti illustri, dal Boccaccio al Machiavelli al Carducci al Verga» [...]".

Per riassumere, l'uso di gli in luogo di loro, a loro, a essi e a esse è da considerare senz'altro corretto [...]. L'utilizzo, invece, di gli per le, è sentito più scorretto dell'altro perché ha subito e continua tutt'ora a subire una maggiore censura scolastica; quindi se ne tende a sconsigliare, nella maggior parte dei contesti, l'impiego.

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