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    Redazione
  • 19 ott 2019
  • Tempo di lettura: 2 min


Quale potrebbe essere una parola del «lessico adulto»? Ad esempio, fiorente. Non è certo un aggettivo impervio, però è un aggettivo che il dizionario Zingarelli da tempo ha marcato con un fiorellino, il simbolo usato per contrassegnare quelle che il dizionario stesso chiama «parole da salvare». Io eviterei questa metafora: le definirei, piuttosto, parole che è bene possedere per una competenza meno banale della lingua. Il significato di fiorente è intuitivo (la metafora in fiore è molto comune: le arti erano in fiore); però, è importante anche il contesto d’uso, che, sostanzialmente, si riduce a due casi. Il riferimento a una civiltà antica («le fiorenti civiltà sorte sulle rive del Mediterraneo») e agli aspetti considerati tipici di una civiltà (come le arti, appunto); oppure, con intenzione antifrastica e originariamente ironica, il riferimento a un disvalore («un fiorente traffico di droga»). Al di là di questi due usi, quindi in contesti abbastanza specifici, oggi fiorente semplicemente non si usa. Farebbe un po’ sorridere se un ragazzo descrivesse una compagna di scuola dicendo «Giulia è fiorente»: che ci si voglia riferire all’aspetto fisico o alle condizioni economiche. Diciamo pure che sarebbe un errore. Conoscere una parola significa non solo risalire al suo significato – che non è difficile, nel caso in questione –, ma anche capire quali sono i reali contesti d’uso. Non è una cosa tanto semplice, in realtà. Presuppone una certa confidenza con una molteplicità di fonti scritte, ma anche la capacità di riflettere su quello che leggiamo. La presenza di una parola in certi contesti e non in altri rientra nel fenomeno – che in generale a scuola non viene toccato – definito in linguistica, con un’espressione non felicissima perché poco trasparente, «collocazione».


- Cioè?


Si tratta delle restrizioni che una parola ha rispetto alle possibili reggenze. Erogare significa «stanziare una certa somma» e presuppone una persona giuridica che finanzia, poniamo, un’attività di volontariato; o anche «fornire un servizio», ancora una volta da parte di un ente pubblico: «l’azienda che eroga l’energia elettrica». Non potrei dire, per esempio, «erogo una certa somma in beneficenza» o «ho deciso di erogarti questa somma». Questi sono usi impropri, anche se appartengono all’area semantica del verbo, ma non corrispondono alla effettiva «collocazione», quindi alla restrizione di significato con cui si usa erogare.

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